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Intelligenza emotiva e alpinismo

La riflessione di Luca Montanari, guida alpina e atleta Kayland, sul suo lavoro e di quanto sia importante trovare empatia con il cliente

Letizia Scritto il
da Letizia Ortalli

Vi proponiamo una riflessione sull’ intelligenza emotiva e l’alpinismo che abbiamo ricevuto da Kayland. Ce ne parla Luca Montanari, Guida Alpina e atleta del team Kayland, il suo appassionato contributo è frutto di anni di esperienza, formazione sul campo e grande sensibilità:

  “Decenni di studi hanno dimostrato che i leader e i team migliori sono quelli con elevate capacità emotive e sociali, tra cui padronanza di sé, resilienza sotto stress, empatia, influenza e lavoro di squadra”.

“Aggiungerei che queste doti sono le competenze che contraddistinguono i migliori performer del ventunesimo secolo”.

Rileggendo queste affermazioni, mi verrebbe voglia di rivolgere direttamente a Daniel Goleman (il padre dell’intelligenza emotiva) la seguente domanda: signor Goleman, ha mai avuto a che fare con una Guida Alpina?

Tra le innumerevoli skills che una Guida Alpina dovrebbe avere, ritengo che l’intelligenza emotiva sia una tra le più significative e difficili da acquisire.

Sviluppare l’intelligenza emotiva vuol dire creare dei presupposti per costruire relazioni forti e solide. Nel mio caso, significa stabilire una connessione esclusiva con il cliente.

Creare un canale di comunicazione (verbale e non verbale) è molto importante, perché il cliente non vuole solo vivere una bella esperienza, ma sogna di entrare in un mondo fatto di progetti sempre più arditi e nuove scoperte verticali di cui spesso è all’oscuro o non si ritiene all’altezza. La montagna custodisce i nostri sogni e ognuno ne vuole realizzare almeno uno. Quindi, stabilire una relazione empatica con la persona che mi chiede di “andare in montagna” è un passaggio obbligato.

Ogni volta che una connessione si stabilisce, è il mio “io” degli esordi che parla: intervengono le impressioni delle mie prime scalate, l’adrenalina dei primi progetti verticali, l’estasi delle prime ascensioni in alta quota, il sogno diventato realtà delle prime spedizioni in Himalaya. Tutte queste prime volte, che sono emozioni uniche e non replicabili, trovano tuttavia una nuova ragione d’essere nelle emozioni dei clienti che fanno la loro prima via lunga, che salgono il loro primo quattromila o che si approcciano per la prima volta ad una cascata di ghiaccio.

Non sono solo esperienze da ricordare, ma sono momenti di vita da risvegliare, coltivare, curare, per trasformarli in nuovi obiettivi da realizzare.

Intelligenza emotiva e alpinismo

Ricordo di un cliente abituato ad andare sulle Alpi e in Dolomiti con guide alpine, ma che coltivava da tempo il sogno di andare oltre il Bianco, verso le maestose cime dell’Himalaya. Ci siamo conosciuti, abbiamo trovato un’intesa e un primo obiettivo da raggiungere: un settemila, in una zona poco conosciuta dell’Himalaya nepalese. Quella montagna non è stata solo un grandioso obiettivo, ma una finestra spalancata su un mondo misterioso e straordinario fatto di cultura sherpa, di tradizioni millenarie, di vita di montagna legata ad una forte spiritualità. Da quel settemila sono seguite altre spedizioni, caratterizzate da cime elevate in contesti inesplorati, fino all’apertura di una via nuova sul Gyanjikhang.

Un altro ricordo riguarda un corso di sci ripido. Prima della discesa lungo un famoso canale delle Dolomiti, ho colto in un paio di ragazzi del gruppo un certo timore. Sapevo che sarebbero riusciti a sciare senza problemi: dovevano solo gestire il loro stato d’animo in quel momento e prendere sicurezza. Li ho tenuti vicini a me, prima di ogni curva cercavo il loro sguardo, con pochi segnali decisi indicavo loro di respirare e davo loro il segnale nel momento esatto in cui effettuare la curva saltata. Ricordo bene il loro sorriso alla fine del canale: non potevano credere a quello che avevano appena fatto! Cogliere il loro stato d’animo, non farli sentire a disagio, infondere il coraggio necessario per prendere fiducia e superare insieme i loro limiti sono state le vere conquiste di quell’uscita, in una giornata dove l’empatia ha fatto la differenza.

Intelligenza emotiva e alpinismo

Come guida, in montagna vivo emozioni doppie: le mie e quelle delle persone che accompagno. La nostra comunicazione (verbale, non verbale e paraverbale) diventa parte integrante della nostra attrezzatura tecnica; è indispensabile tanto quanto la mia corda, perché trasmette fiducia e sicurezza alla persona che è con me in quel momento. Durante una discesa di sci ripido, lungo una cresta affilata, su un passaggio esposto di roccia, il tono della mia voce, l’espressione del mio viso e il tendere la corda al momento giusto per infondere coraggio al cliente sono gesti che fanno parte del mio bagaglio di esperienze vissute in parete.

Nel mio mestiere non esiste la routine: salite ripetute tante volte sono sempre diverse, cambiano le persone con cui mi lego in cordata, cambiano le condizioni delle pareti, cambiano gli stati d’animo, cambia il tempo. E cambiano le emozioni, ogni volta condivise con persone diverse.

Mi piace pensare che il mestiere di guida non sia semplicemente “accompagnare le persone in montagna”, ma piuttosto “aiutare le persone a trovare la loro strada in montagna”. Un percorso spesso lungo, fatto di lezioni, di progressi graduali, di battute d’arresto e di nuovi obiettivi da raggiungere, ma sempre governato da una connessione empatica profonda ed esclusiva, che mette la nostra cordata in condizioni di raggiungere la propria vetta, qualunque essa sia.

 

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